La rottura dei legamenti collaterali (LCM, LCL) si verifica solitamente quando la gamba viene sollecitata verso l’interno (in valgo) o verso l’esterno (in varo).
È particolarmente frequente perché questi movimenti anomali si verificano in molte attività sportive.
La rottura dei legamenti collaterali può essere di 1°,2° e 3°grado: più intenso è stato il meccanismo traumatico più grave sarà la lesione.
L’esame obiettivo può essere sufficiente per stabilire una diagnosi corretta anche se talvolta è indicata l’esecuzione di un’ecografia per valutare il decorso del legamento o di una RMN per valutare le eventuali lesioni associate.
La scelta del trattamento conservativo piuttosto che quello chirurgico dipenderà dal grado della lesione di legamenti crociati collaterali (LCM, LCL).
Nella fase iniziale è comunque fondamentale l’utilizzo di una ginocchiera e di stampelle in quanto i legamenti collaterali, contrariamente ai legamenti crociati, vanno incontro spontaneamente ad un processo di cicatrizzazione, favorito in un primo periodo dall’immobilizzazione. La rigidità del ginocchio va comunque prevenuta rimuovendo il tutore appena possibile ed iniziando precocemente il lavoro in piscina con l’acqua alta. Nel programma riabilitativo verranno inoltre inseriti esercizi specifici per evitare stress al legamento danneggiato e favorire l’orientamento corretto della cicatrizzazione ed il recupero completo della funzione del ginocchio.
In rari casi il medico consiglierà un intervento chirurgico per riparare il legamento collaterale danneggiati.
L’intervento consiste fondamentalmente nella sutura del legamento interessato con fili non riassorbibili e tensionamento con cambra.
Nell’immediato periodo post-operatorio il ginocchio viene tenuto immobilizzato in una ginocchiera bloccata a 20° di flessione per 3 settimane e proscrizione del carico per 3 settimane.
Il trattamento riabilitativo sarà svolto inizialmente solo in palestra. Una volta rimosso il tutore si inizierà un carico parziale e progressivo e verrà collaudata l’attività in piscina.
A circa 4 mesi dall’intervento avviene la dimissione e la ripresa dell’attività sportiva.
Infine ti potrà essere consigliata la rimozione della cambra.
Durante la riabilitazione il dolore permane a lungo per cui è molto importante informare il paziente ed effettuare una lunga e progressiva ripresa del gesto sportivo nella fase della riabilitazione sul campo per gli atleti agonisti.
La rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è molto frequente specie in chi pratica sport di alto impatto come il calcio, lo sci, il volley e il basket.
Il quadro tipico della rottura del legamento crociato anteriore prevede un dolore intenso, gonfiore molto marcato che insorge rapidamente e sensazione di cedimento con importante limitazione funzionale.
La diagnosi si basa sul racconto del paziente, sull’esame clinico per valutare la stabilità passiva del ginocchio e su esami strumentali come la risonanza magnetica (RMN) per valutare anche eventuali lesioni associate a carico delle strutture adiacenti al legamento.
Nel caso di rottura del legamento crociato anteriore (LCA), la scelta tra il percorso conservativo o l’intervento chirurgico è complessa e deve tener conto di numerosi elementi: l’età del paziente, il grado di instabilità, la presenza o meno di lesioni associate e il livello di attività sportiva.
In tutti i casi è fondamentale seguire un appropriato ciclo di riabilitazione.
Le tecniche chirurgiche utilizzate più frequentemente per la ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) sono sostanzialmente 3:
• Ricostruzione con tendini del semitendinoso (ST) e gracile (GR)
• Ricostruzione con tendine rotuleo
• Ricostruzione con allograft (tendine da donatore)
La ricostruzione LCA con tendini del semitendinoso e gracile è ormai la più diffusa, prevede l’utilizzo dei tendini di due muscoli flessori mediali di coscia che vengono poi fatti passare attraverso un tunnel osseo in articolazione.
L’intervento è effettuato in artroscopia.
Nella fase riabilitativa bisognerà rispettare i tempi di guarigione dei muscoli flessori della coscia da cui è stato effettuato il prelievo.
La ricostruzione LCA con tendine rotuleo prevede l’espianto del terzo centrale del tendine rotuleo attraverso una cicatrice mediana di circa 5 cm e poi il suo inserimento in articolazione attraverso un tunnel osseo sotto guida artroscopica.
Questo tipo di intervento tende ad indebolire l’apparato estensore del ginocchio e pertanto carichi eccessivi in riabilitazione possono causare fastidiose tendinopatie a carico del tendine rotuleo e del tendine quadricipitale ritardando i tempi di recupero.
La ricostruzione LCA con allograft (tendine da donatore) è un innesto ottenuto da un tendine d’Achille o rotuleo da donatore. L’intervento ha il vantaggio di non prevedere il prelievo di tendini del paziente, evitando così di indebolire i flessori di coscia o il quadricipite come nei precedenti due interventi.
Riabilitazione per rottura del legamento crociato anteriore (LCA)
Il trattamento della lesione del legamento crociato anteriore (LCA) può essere di due tipi: conservativo e chirurgico, anche se la stragrande maggioranza dei pazienti propende per la via chirurgica per i problemi di instabilità e di artrosi precoce derivanti dalla rottura. La tecnica chirurgica più utilizzata è quella che usa come neolegamento il tendine del semitendinoso e gracile della stessa gamba.
La riabilitazione in seguito alla ricostruzione del legamento crociato anteriore inizia già in seconda giornata in ospedale o a domicilio.
A seconda delle equipe ortopediche viene consigliato o meno un tutore nel post-operatorio. Quasi sempre l’uso di stampelle viene protratto per circa 3 settimane.
Il trattamento post chirurgico prevede una prima fase di controllo del gonfiore (attraverso terapie fisiche strumentali quali la crioterapia o la tecarterapia) e recupero dell’articolarità (in primo luogo l’estensione) e di ripresa dello schema del passo, essenzialmente svolta in piscina. Parallelamente si può iniziare precocemente la fase di recupero della forza dei quadranti d’anca, gluteo (aiutano la deambulazione) del quadricipite, in catena cinetica chiusa e successivamente aperta (il vasto mediale è il muscolo che si atrofizza maggiormente dopo intervento, quindi è necessario un suo completo recupero) flessori (mediali) adduttori e intrarotatori di ginocchio (che hanno subito il prelievo biologico e quindi indeboliti). Accanto all’ esercizio terapeutico svolto in palestra il recupero muscolare può essere coadiuvato dall’utilizzo dell’elettroterapia o della vibra.
Per quanto riguarda gli atleti agonisti il percorso terapeutico viene completato sul campo per il recupero della gestualità specifica.
La frattura del piatto tibiale è un trauma piuttosto frequente e interessa l’area del ginocchio, nella porzione prossimale della tibia.
Può variare in base alla serietà dell’infortunio, da minime depressioni del piatto tibiale o piccoli distacchi che non richiedono trattamenti chirurgici, a quadri complessi con dislocazione dei frammenti e necessità di osteosintesi chirurgiche.
Spesso viene riferito un grave trauma (incidente automobilistico, caduta da sci) che ha comportato subito un notevole gonfiore al ginocchio. Il quadro clinico è sovrapponibile a quello di una lesione di LCA ma solitamente non c’è instabilità.
Il quadro clinico della frattura del piatto tibiale è solitamente caratterizzato da dolore, gonfiore e limitazioni dell’articolarità.
La prima radiografia potrebbe essere anche negativa per cui con sospetto clinico potrebbe essere necessaria anche una TAC o RMN.
Se non ci sono indicazioni per il trattamento chirurgico, si dovrà rispettare un periodo più o meno lungo di immobilizzazione con tutore ad arto esteso (4-6 settimane) seguito da un percorso riabilitativo di almeno due mesi.
Riabilitazione dopo frattura del piatto tibiale
Terminato il periodo di riposo dopo immobilizzazione si inizia il programma riabilitativo in piscina per recuperare l’articolarità riducendo il carico applicato sull’articolazione.
Parallelamente si può iniziare in palestra un rinforzo muscolare dei muscoli del core, flessori e abduttori d’anca, addominali e una blanda attività del quadricipite.
Recuperata l’elasticità del ginocchio e diminuito il dolore e il gonfiore si può passare al recupero completo della forza con esercizi di rinforzo del quadricipite, flessori, polpaccio dapprima in catena cinetica aperta e successivamente con quella chiusa.
Se non ci sono stati episodi dolorosi e di flogosi si può passare alla fase dinamica con esercitazioni propriocettive e la propedeutica alla corsa.
La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è molto più rara di quella del legamento crociato anteriore (LCA).
La causa è spesso di tipo traumatico (impatto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto durante un incidente stradale oppure in molti sport di contatto).
La lesione del legamento crociato posteriore può essere di I°, II° o III° grado, a seconda dell’entità del danno.
La sintomatologia immediata della rottura del legamento crociato posteriore (LCP) è piuttosto subdola. Il paziente avverte una sensazione di instabilità e di dolore posteriore, che persistono anche dopo la fase acuta.
Il trattamento conservativo della lesione del legamento crociato posteriore (LCP) rappresenta la prima soluzione. Inizialmente il percorso riabilitativo è simile a quello delle più comuni distorsioni del ginocchio ed in seguito vanno messe in atto strategie specifiche per la lesione del legamento crociato posteriore.
Il trattamento chirurgico è riservato solo in caso d’ instabilità anche dopo il trattamento conservativo.
Nella riabilitazione post-intervento occorre procedere con cautela nel recupero della flessione attiva, evitare contrazioni isolate dei flessori per i primi tre mesi e aspettare almeno un mese prima di concedere la deambulazione libera.
È invece importante da subito potenziare il quadricipite, prima con elettrostimolazioni poi con esercizi attivi.
Riabilitazione per rottura del legamento crociato posteriore (LCP)
All’inizio il trattamento riabilitativo è simile a quello delle più comuni distorsioni di ginocchio con l’obbiettivo di ridurre il gonfiore e recupere l’articolarità, prestando attenzione ad evitare movimenti di estensione massimale del ginocchio.
Una volta raggiunto l’obiettivo si può passare alla fase del recupero muscolare, in primo luogo dei muscoli che limitano l’iperestensione, quali flessori di ginocchio sia in modalità concentrica che eccentrica e tricipite surale, in particolar modo i gemelli; contestualmente verranno rinforzati il quadricipite, soprattutto con esercizi eccentrici, ai quali verranno abbinati esercizi propriocettivi e coordinativi.
Il lavoro in acqua consente un recupero precoce in termini di articolarità e schema del passo.
L’artrosi del ginocchio (detta anche gonartrosi) è un processo molto frequente, prevalentemente degenerativo, caratterizzato dall’usura e dall’invecchiamento, ma si può manifestare anticipatamente se originata da lesioni traumatiche non trattate correttamente in età giovanile.
Contemporaneamente ai fenomeni degenerativi si realizzano dei tentativi di riparazione che riducono il dolore ma, accentuando la formazione di ossificazioni periarticolari, provocano limitazioni del movimento che possono essere molto invalidanti.
L’artrosi del ginocchio può insorgere su articolazioni sane o essere l’inevitabile conseguenza di alterazioni della meccanica articolare, esiti di malformazioni o traumi. È più frequente nelle donne, e nei pazienti in sovrappeso. Esistono poi particolari attività lavorative che dimostrano quanto la ripetizione di alcuni gesti, una postura viziata, il sovraccarico funzionale possano, a lungo andare, produrre danni articolari irreversibili.
I sintomi dell’artrosi del ginocchio (gonartrosi) sono in genere: dolore, gonfiore, deambulazione con zoppia, sensazione di impaccio dell’articolazione e rumori articolari detti scrosci.
La diagnosi è clinica e radiografica. Le radiografie evidenziano le alterazioni del profilo scheletrico ormai molto accentuate, mentre TAC e RMN rilevano le precoci irregolarità delle cartilagini.
L’intervento di protesi al ginocchio
L’intervento di protesi di ginocchio è consigliato nei casi più gravi di artrosi con un quadro radiografico molto compromesso.
In genere si consiglia l’esecuzione dell’intervento di protesi di ginocchio in pazienti oltre i 60 anni, sia in considerazione della durata delle protesi, sia perché con l’età la richiesta di prestazioni fisiche è minore.
La chirurgia protesica dovrebbe essere ritardata il più a lungo possibile nei pazienti che continuano a conservare una funzionalità sufficiente ed hanno un dolore tollerabile.
La riabilitazione dopo intervento di protesi di ginocchio ha come obiettivi il recupero dell’articolarità, della forza muscolare, della coordinazione, e dello schema del cammino, tanto più difficili da ottenere quanto più la situazione dell’arto prima dell’intervento era compromessa.
Riabilitazione per artrosi al ginocchio
A differenza di quanto si può comunemente pensare il paziente affetto da gonartrosi ottiene enormi vantaggi da un prolungato ciclo di riabilitazione effettuato in piscina e palestra. Il successo del trattamento dipende ovviamente dalla gravità della malattia, ma anche molto dalla serietà con cui il paziente lo intraprende.
Si deve subito chiarire con il paziente che la patologia di cui è affetto è cronica e ingravescente per cui non possiamo guarirlo, ma possiamo però insegnargli a conviverci senza dover troppo soffrire e senza dover rinunciare completamente alle attività fisiche.
Un trattamento riabilitativo efficace deve mirare a controllare i sintomi con terapie fisiche (laser, ultrasuoni, ionoforesi) e massaggi; ridurre il peso con adeguati consigli alimentari; potenziare la muscolatura con esercizi perché solo lavorando sugli ammortizzatori muscolari si può preservare l’articolazione (si eseguiranno dapprima esercizi cauti e blandi di tonificazione del quadricipite, dei flessori e del polpaccio sia in catena cinetica chiusa che aperta e successivamente si potrà iniziare l’attività aerobica).
La rottura del menisco può verificarsi durante i movimenti combinati di flessione e rotazione tipici delle distorsioni traumatiche. Una lesione può verificarsi però anche in seguito ad un banale movimento o spontaneamente nelle persone più anziane a causa della degenerazione cartilaginea e della perdita di elasticità.
La sintomatologia della lesione meniscale varia da una fitta intensa e localizzata all’interlinea articolare ad un male sordo e poco definito che si riacutizza in certi movimenti.
Lesioni del menisco importanti possono provocare un vero e proprio blocco articolare che il più delle volte tende a risolversi con opportune manovre di basculamento in flesso-estensione.
Soltanto in caso di lesione particolarmente grave verrà proposto un intervento chirurgico al menisco.
Riabilitazione per rottura del menisco (laterale e mediale)
Il trattamento conservativo dopo rottura del menisco sta diventando il trattamento elettivo perché ormai è assodato che il menisco, soprattutto il mediale, partecipa alla stabilità del ginocchio quindi si tenta di preservarlo.
Il protocollo riabilitativo inizialmente mira a ridurre il dolore, il gonfiore e a recuperare l’articolarità, senza forzare la flessione soprattutto oltre i 90°. Nella fase iniziale è molto importante il trattamento all’interno della vasca riabilitativa, perché permette una riduzione del carico, un maggior rilassamento muscolare e un recupero precoce dell’articolarità.
Passato il processo infiammatorio iniziale si può passare alla fase del recupero muscolare del quadricipite, sia in modalità concentrica che eccentrica, dei flessori e del polpaccio, soprattutto in modalità eccentrica e del gluteo ; contestualmente si effettuano esercitazioni di equilibrio e propriocezione e di educazione al movimento.
La lussazione della rotula, soprattutto quella esterna è abbastanza frequente. Spesso è legata ad una predisposizione congenita di malallineamento per cui spesso si presentano episodi recidivanti; in altri casi è un fenomeno acuto legato all’entità dello stress traumatico.
Solitamente comporta il verificarsi frequente di un trauma distorsivo accompagnato dalla sensazione di “qualcosa fuori posto” e conseguente cedimento del ginocchio.
Generalmente la lussazione si riduce spontaneamente.
La sintomatologia della lussazione rotulea è caratterizzata da dolore, gonfiore, deficit di articolarità e zoppia.
Il trattamento conservativo della lussazione della rotula richiede l’utilizzo di una ginocchiera e il completamento di un ciclo di riabilitazione. La riabilitazione si basa soprattutto su tecniche di rinforzo muscolare specifico dei muscoli della coscia. Un adeguato tono muscolare è infatti fondamentale per stabilizzare la rotula e per evitare recidive.
Riabilitazione per lussazione della rotula
Nella lussazione acuta della rotula il gonfiore compare subito ed è molto forte, specialmente prima delle riduzione della lussazione.
La prima fase della riabilitazione è incentrata proprio sul controllo del dolore e riduzione del gonfiore attraverso l’utilizzo di terapie fisiche antiedemigene e massoterapia drenante e sul recupero della forza dei muscoli dell’anca, bacino e della caviglia. Tolto il tutore si può iniziare la mobilizzazione del ginocchio e velocemente si arriverà a una completa flessione di ginocchio e mobilità rotulea.
Fondamentale è il ruolo dell’idrochinesiterapia, che consente di recuperare precocemente la motilità del ginocchio senza dolore.
Recuperata l’articolarità si può passare alla fase del rinforzo del quadricipite, flessori e polpaccio, insistendo sul rinforzo della parte mediale (se la lussazione è esterna) soprattutto dei muscoli della zampa d’oca, vasto mediale e adduttori, dapprima in catena cinetica aperta e successivamente in chiusa.
Se non vi sono problemi si può passare al recupero dell’equilibrio e propriocezione attraverso percorsi su superfici instabili.
La frattura della rotula è spesso causata da un trauma diretto e nella maggior parte dei casi si tratta di fratture trasverse.
La sintomatologia è caratterizza da un’insorgenza rapida di gonfiore, dolore e limitazioni articolari. In caso di avvenuto intervento chirurgico, nel post-operatorio la mobilizzazione può essere effettuata precocemente durante la fisiokinesiterapia, già a partire dalla seconda settimana; il carico viene concesso dopo circa quattro settimane e normalmente l’intera rieducazione si protrae per alcuni mesi.
Riabilitazione per frattura della rotula
La frattura della rotula è seguita quasi sempre da un grosso versamento e da dolore; quindi la prima fase del trattamento è incentrata sul controllo del gonfiore attraverso terapie fisiche e massoterapia drenante; il recupero della completa articolarità inizierà fin dalle prime fasi, prestando attenzione ai limiti articolari imposti da eventuali mezzi di sintesi, quindi il rom deve essere estremamente ridotto; perciò in questo periodo è molto utile l’idrochinesiterapia per ridurre il carico applicato sull’arto e non sollecitare eccessivamente la parte traumatizzata.
Dopo il primo mese se la frattura evidenzia già i segni di una buona consolidazione è possibile iniziare il lavoro di recupero del trofismo muscolare del quadricipite, flessori, muscoli dell’anca e del bacino, dapprima in modalità isometrica, successivamente isotonica in catena cinetica chiusa e infine aperta evitando gli angoli che potrebbero scatenare dolore.
A frattura consolidata non ci sono grossi limiti nella funzionalità rotulea quindi dopo circa 2 mesi è possibile iniziare il rinforzo isocinetico, effettuare esercitazioni di propriocettiva e di equilibrio.
La distorsione al ginocchio è tra gli infortuni più frequenti nella traumatologia dello sport, soprattutto in alcune discipline quali il calcio, la pallacanestro, lo sci e la pallavolo.
Se in seguito ad un trauma con rotazione del ginocchio questo risulta gonfio e dolente, in attesa di una visita medica, è opportuno applicare il ghiaccio e proteggere l’articolazione dal carico usando le stampelle.
La valutazione del medico è di fondamentale importanza, anche se in fase acuta il dolore e le reazioni in difesa rendono difficili le manovre che normalmente si adottano per svelare una lesione legamentosa del ginocchio.
Per impostare un adeguato percorso riabilitativo, oltre ad un’accurata prima visita, il medico potrebbe prescrivere anche alcuni esami strumentali come la risonanza magnetica (RMN) o la TAC.
Riabilitazione per distorsione al ginocchio
Quando si subisce una distorsione al ginocchio, bisogna immediatamente applicare il protocollo RICE:
• Rest: tenere a “riposo” il ginocchio ed immobilizzarlo
• Ice: applicare del ghiaccio sull’articolazione per non più di 20-30 minuti
• Compression: Comprimere il ginocchio con una fasciatura elastica
• Elevation: Elevare l’articolazione mettendola in scarico
In questo modo si può riuscire tempestivamente a fermare il sanguinamento responsabile del gonfiore e del dolore locale. Dopo una prima fase di riposo e ghiaccio, il percorso riabilitativo della distorsione di ginocchio, non essendoci problemi articolari, prevede un lavoro di potenziamento muscolare del quadricipite, flessori, polpaccio che contribuiranno a stabilizzare maggiormente l’articolazione unito ad un lavoro propriocettivo e recupero della gestualità in campo riducendo il rischio di nuove distorsioni ed evitando recidive (prevenzione).
La sindrome femoro-rotulea è costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di dolore anteriore di ginocchio.
La rotula scorre all’interno di una gola ad essa congruente, scavata nella parte distale del femore; le superfici ossee scivolano l’una sull’altra grazie al reciproco rivestimento cartilagineo e sono guidate dalla tensione di alcuni gruppi muscolari, del tendine rotuleo e dei legamenti alari.
Basta un minimo disturbo, un’alterazione di forma o di funzione di una di queste componenti, perché insorga un aumento della pressione su una parte dell’articolazione femoro-rotulea con conseguente insorgenza di dolore o, peggio ancora, di instabilità fino alla vera e propria fuoriuscita della rotula dalla sua sede durante i dolorosissimi episodi di lussazione della rotula.
La diagnosi si avvale del supporto di radiografie, TAC o risonanza magnetica (RMN).
La maggior parte dei casi affetti da sindrome femoro-rotulea trae beneficio da un personalizzato programma riabilitativo, mentre la soluzione chirurgica viene riservata solo ai casi più gravi.
La riabilitazione della sindrome femoro-rotulea inizia in palestra, ma continua nella vita di tutti i giorni. Infatti, è proprio nella vita quotidiana che bisogna mettere in atto i piccoli accorgimenti per il mantenimento di una funzionalità completa.
L’unica vera indicazione al trattamento chirurgico è costituita da un importante instabilità rotulea, caratterizzate dalla lussazione abituale della rotula o dalla sua stabile malposizione.
RIALLINEAMENTO ROTULEO
Esistono vari tipi di soluzioni chirurgiche di riallineamento rotuleo. Quelle più frequentemente usate sono tre.
• Lateral release
Sezione del legamento alare esterno, effettuato artroscopicamente per medializzare la rotula. È un intervento la cui efficacia è dubbia, ma ha il vantaggio di una modestissima aggressività chirurgica con rapida ripresa.
In caso di lateral release puoi iniziare la riabilitazione dopo pochi giorni dall’intervento.
• Riallineamento distale
È l’intervento più utilizzato per le instabilità marcate caratterizzate da episodi recidivanti di lussazione rotulea. Consiste nella trasposizione del tendine rotuleo. Richiede un periodo di parziale immobilizzazione in tutore.
Nel riallineamento distale puoi iniziare precocemente la riabilitazione rimuovendo il tutore per la durata della seduta.
• Riallineamento prossimale
È impiegato negli adolescenti con instabilità rotulea grave per evitare di danneggiare il tessuto osseo immaturo. Consiste nell’avanzamento e plicatura del vasto mediale.
Il riallineamento prossimale richiede da quattro a sei settimane circa di immobilizzazione. Per consentire la tenuta delle suture è consigliabile invece iniziare la riabilitazione solo dopo il periodo di immobilizzazione.
La rottura del tendine rotuleo si presenta più spesso in soggetti giovani e sportivi con tendinosi degenerative e in soggetti anziani che affrontano sforzi improvvisi senza avere una adeguata preparazione.
Le rotture dei tendini possono essere parziali o totali.
Al momento dell’infortunio si avverte uno schiocco al ginocchio con la sensazione di qualcosa che “va fuori posto”. Nella maggior parte dei casi al dolore si associano anche gonfiore e difficoltà ad estendere il ginocchio.
L’ecografia è solitamente sufficiente per una conferma diagnostica; la risonanza magnetica (RMN) può dare indicazioni più dettagliate in caso di lesione parziale.
In caso di lesione parziale del tendine rotuleo e quadricipitale il trattamento può essere conservativo, prima con immobilizzazione e deambulazione con stampelle per quattro settimane, poi con progressivi esercizi di rinforzo muscolare. Per ottenere risultati si devono attendere almeno quattro mesi perché il processo di guarigione, cicatrizzazione e riorganizzazione del tessuto tendineo è lungo.
In caso di lesione totale dei tendini rotuleo e quadricipitale il percorso più indicato è quello dell’intervento chirurgico.
La tenorrafia quadricipitale è l’intervento chirurgico che si rende necessario in seguito ad un evento acuto quale la rottura traumatica o degenerativa, parziale o completa, del tendine quadricipitale o del tendine rotuleo.
La tecnica della tenorrafia quadricipitale consiste nella sutura con fili non riassorbibili del tendine lesionato associato a rinforzo con tessuto biologico autologo (il prelievo è solitamente effettuato o dalla porzione distale della bandeletta ileo-tibiale o dal tendine quadricipitale), spesso associato ad un cerchiaggio rotuleo necessario per proteggere le suture.
La chirurgia è complessa e se non è ben eseguita può portare ad avere una rotula alta con conseguente deficit della flessione.
Dal punto di vista della riabilitazione post intervento bisogna considerare che i primi 2 mesi post-operatori sono il periodo critico e che bisogna essere molto cauti e progressivi nel recupero della flessione e nel rinforzo del quadricipite.
L’apofisite tibiale anteriore detta anche sindrome di Osgood-Schlatter è più frequente negli atleti adolescenti maschi (10-13 anni) che spesso sono cresciuti rapidamente.
È attribuibile ad un sovraccarico abnorme sulla cartilagine in accrescimento che causa delle microfratture del nucleo osseo apofisario.
Il quadro clinico legato alla sindrome di Osgood-Schlatter è caratterizzato da dolore localizzato sulla tuberosità anteriore della tibia che viene esacerbato dall’attività fisica e recede con il riposo; localmente è presente una tumefazione dolente alla digitopressione.
La diagnosi è clinica e supportata da esami strumentali quali una radiografia per valutare eventuali calcificazioni o problemi inserzionali.
Il trattamento indicato per la sindrome di Osgood-Schlatter è il riposo. Nei periodi di riacutizzazione del male è necessario che i ragazzi interrompano l’attività fisica. Il quadro tende a risolversi con la fine dell’accrescimento.
Riabilitazione per Sindrome di Osgood-Schlatter
Il trattamento riabilitativo è utile ed è mirato al controllo del dolore, attraverso l’utilizzo di ghiaccio più volte al giorno e di terapie fisiche come ionoforesi, laserterapia, massaggio e stretching: in questa prima fase è utile ridurre il carico sulla gamba, quindi è indicata la rieducazione in piscina.
Successivamente il trattamento prevede di eliminare le tensioni muscolari del quadricipite che possono aver causato microtraumi in quella zona del ginocchio attraverso il massaggio decontratturante e lo stretching specifico accompagnato da un rinforzo muscolare volto ad elasticizzare il muscolo ed esercitazioni per migliorare la coordinazione intermuscolare tra quadricipite stesso e i flessori.
La tendinopatia rotulea è una patologia molto frequente che clinicamente si rileva con dolore al polo inferiore della rotula e tumefazione dolente alla digitopressione.
Il dolore insorge gradualmente, si riduce con il riscaldamento ma progressivamente limita il movimento. Può essere la conseguenza di un evento acuto scatenato da un sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti nel tempo.
Il trattamento della tendinopatia rotulea, inizialmente conservativo è sempre molto delicato e le possibilità di successo dipendono dalla gravità del quadro patologico e dal tempo di insorgenza della sintomatologia. Il trattamento riabilitativo prevede all’inizio un riposo attivo, riducendo cioè il carico del lavoro e il controllo del dolore attraverso terapie fisiche (laser, onde d’urto, ultrasuoni, tecar e vibra). Molto importante il massaggio decontratturante del quadricipite, riflessogeno del retto femorale e il massaggio trasverso profondo del tendine rotuleo unito ad una buona esecuzione di esercizi di stretching della catena anteriore e posteriore per allentare le tensioni sul tendine stesso. In fase subacuta si può iniziare il rinforzo muscolare ed elastico del quadricipite sia in palestra che in vasca riabilitativa.
L’insorgenza di lesioni cartilaginee del ginocchio è frequente per un meccanismo di usura determinato dalla ripetizione di alcuni movimenti, o in seguito a traumi veri e propri. Un’erosione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.
Per lesioni cartilaginee del ginocchio più lievi è indicato il trattamento conservativo mentre per i casi più severi viene scelto quello chirurgico. Lo scopo terapeutico è di interrompere il circolo vizioso che, mediante l’aumento progressivo dell’attrito, porta alla degenerazione articolare. Il programma riabilitativo viene personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione, con l’obiettivo di ridurre il dolore con terapie fisiche (laser, ionoforesi, tens, tecar e vibra) e ripristinare il tono-trofismo di particolari gruppi muscolari che svolgono un importante ruolo protettivo.
Nella riabilitazione post intervento è fondamentale svolgere un adeguato protocollo riabilitativo che permetta di recuperare il massimo nel rispetto dei tempi biologici di guarigione propri del tessuto cartilagineo. La riabilitazione ha come obiettivi la riduzione del dolore e del gonfiore con terapie fisiche (ionoforesi, laser ad alta potenza, tens, tecar e vibra), recupero dell’articolarità, della forza muscolare e della coordinazione neuromotoria alternando palestra e vasca riabilitativa. In palestra vengono alternate terapie fisiche e manuali, esercizi di rinforzo e di propriocezione. In vasca il paziente comincia a recuperare lo schema del passo e i movimenti dell’articolazione operata.
La sindrome della bandelletta ileo-tibiale si presenta con un quadro infiammatorio cronico che interessa l’ultimo tratto della fascia lata dove può verificarsi un attrito meccanico che genera uno stato infiammatorio doloroso che si acutizza nei movimenti di flesso-estensione del ginocchio. Alcuni fattori anatomici come il varismo di ginocchio e l’ipoestensibilità della catena muscolare posteriore, possono favorire l’insorgenza della sindrome. I sintomi principali consistono nel dolore laterale di ginocchio a livello dell’inserzione della bandelletta. Il trattamento iniziale della sindrome della bandelletta ileo-tibiale è sempre conservativo e consiste nell’alternarsi, su indicazione del medico specialista, di terapie fisiche e manuali. Il tutto è incentrato sulla risoluzione dell’infiammazione attraverso l’utilizzo di terapie fisiche come ultrasuoni, laser ad alta potenza, ionoforesi e tecar. Massaggio decontratturante e stretching saranno necessari per ridurre la tensione della parte esterna della coscia e della gamba. Superata la fase acuta il trattamento prevede il rinforzo muscolare, sia in palestra che in vasca riabilitativa, dei muscoli della parte mediale del ginocchio per migliorare la ripartizione del carico a livello del quadricipite e il rinforzo dei fasci muscolari posteriori.
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