Lesione della cuffia dei rotatori

Quando si parla di lesione della cuffia dei rotatori ci si riferisce ad una lacerazione nel tessuto tendineo con disinserzione dalla superficie ossea. La causa principale è rappresentata da una graduale degenerazione del tessuto tendineo. La probabilità di avere una lesione della cuffia dei rotatori cresce pertanto con l’aumentare dell’età.
La cuffia dei rotatori è costituita dai tendini di quattro muscoli che, originando dalla scapola, si inseriscono sulla testa omerale. È costituita dai tendini dei muscoli sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare.
Questi tendini possono andare incontro a infiammazione, lesione traumatica e lesione degenerativa con rottura parziale o completa.
La lesione della cuffia dei rotatori è la naturale evoluzione di una tendinopatia cronica della cuffia e di un conflitto esterno sotto-acromiale e interessa principalmente il tendine del muscolo sovraspinato. In questi casi il progressivo indebolimento tendineo (legato alla degenerazione) fa in modo che, soprattutto durante i movimenti di abduzione del braccio, la testa omerale risalga eccessivamente e, non venendo stabilizzata dal tendine del sovraspinato, porta a un ulteriore conflitto delle strutture acromiali.
Le rotture traumatiche della cuffia dei rotatori riguardano soprattutto pazienti giovani, sportivi “overhead” durante la pratica sportiva (come giocatori di basket, pallavolo, baseball) che riportano lesioni da sovraccarico ripetuto, oppure sono conseguenza di cadute sul moncone di spalla nel corso di incidenti. Questo tipo di infortunio è spesso associato a lussazione anteriore o a frattura dell’omero.
Il dolore è il sintomo principale: compare dopo normale attività sportiva, particolarmente dopo periodi di intensificazione dell’attività, a gradi estremi di articolarità e spesso in regione anteriore, laterale della spalla, ma anche sotto-acromiale e in abduzione/extra-rotazione e sopra i 90° di flessione. Talora compare di notte. Tendenzialmente migliora con il riposo.
L’intra-rotazione dell’omero è spesso ridotta, mentre l’extra-rotazione è aumentata rispetto al lato sano. Coesistono spesso alterazioni del ritmo scapolo-omerale.
Gli esami strumentali di riferimento sono la radiografia, per escludere la presenza di calcificazioni dei tessuti molli e studiare la forma del profilo dell’acromion della scapola; l’ecografia, per valutare la cuffia dei rotatori, il capo lungo del bicipite brachiale e la borsa subacromiale; RMN e TAC per effettuare un esame completo dell’articolazione.
Il trattamento conservativo è generalmente progettato e monitorato per consentire una buona autonomia nella vita di tutti i giorni e una ripresa sportiva, ed è impostato seguendo le cinque fasi della riabilitazione.
Il trattamento chirurgico è riservato alle lesioni parziali che non rispondono alla terapia conservativa prolungata per alcuni mesi e alle lesioni complete. Queste sembrano avere invece una prognosi peggiore e quasi sempre un’indicazione chirurgica.

Sutura della cuffia dei rotatori
La sutura della cuffia dei rotatori consiste nella riparazione chirurgica delle lesioni della cuffia dei rotatori. Può essere eseguita sia a cielo aperto che in artroscopia. In quest’ultimo caso il danno ai tessuti periarticolari è limitato e la riabilitazione è meno difficoltosa.
L’obiettivo del chirurgo è ricreare il cosiddetto “footprint”, ovvero l’esatta anatomia dell’inserzione dei tendini sull’omero. Quando la lesione è inveterata, la retrazione dei monconi tendinei e la degenerazione delle fibre sono tali da impedire al chirurgo di eseguire una re-inserzione anatomica. In questo caso si punta all’avvicinamento dei lembi della lesione.
Il buon risultato della chirurgia a lungo termine dipende dall’integrità della sutura. Nel tentativo di incrementare la percentuale dei buoni risultati a lungo termine si sta diffondendo la tecnica a doppia fila di sutura (double row).
Fondamentale nel programmare la riabilitazione è la collaborazione con il chirurgo che deve fornire informazioni riguardo le caratteristiche del tessuto, il grado di tensione delle suture effettuate e gli obiettivi che sono stati condivisi con il paziente prima dell’intervento. È fondamentale anche il monitoraggio, dovendo da un lato rispettare la guarigione biologica della sutura e dall’altro dare stimoli precoci soprattutto nell’ambito del recupero del ROM (arco di movimento).

Riabilitazione per lesione della cuffia dei rotatori
Il trattamento riabilitativo dopo lesione della cuffia dei rotatori è molto differente a seconda del tipo di intervento di ricostruzione e della finalità per la quale è stato eseguito, per cui in questa sede ci limiteremo a fornire alcuni principi base. Occorre ricordare che l’accesso artroscopico, dove possibile, presenta più vantaggi nella durata e nella qualità del recupero dell’intervento a cielo aperto.
La tempistica rieducativa dipende quindi dal tipo di intervento, dal tipo di tutore e dalla prescrizione del suo utilizzo.
Dopo la rimozione del tutore è possibile iniziare il recupero dell’articolarità in piscina con movimenti in flesso-estensione e pendolari evitando l’extra-rotazione. È la fase più delicata, vanno evitati movimenti bruschi e forzature e termina con il consulto del chirurgo solo al completamento del ROM articolare. Successivamente è necessario rinforzare i muscoli del cingolo scapolare, il deltoide, il bicipite/tricipite, il dorsale e il pettorale e successivamente gli intrarotatori ed extrarotatori di spalla attraverso esercitazioni dapprima isometriche e successivamente isotoniche con elastici a intensità crescenti.
Recuperata la forza, attraverso l’esecuzione del test isocinetico di spalla, si deve completare l’iter terapeutico con la ripresa dell’attività sportiva pre-intervento con attività di fluidità, di resistenza ed esercitazioni di educazione al movimento e prevenzione.

Lussazione della clavicola (acromion-claveare)

La lussazione della clavicola (acromion-claveare) consiste in una rottura dei rapporti articolari tra acromion (parte ossea della scapola) e l’estremità laterale della clavicola che provoca uno spostamento variabile della clavicola in base alla lesione di alcuni o tutti gli elementi stabilizzatori di questa articolazione.
Il meccanismo traumatico è più frequentemente diretto, con forza che va dall’alto verso il basso (caduta a terra, ciclismo, calcio, contatto traumatico), molto più raramente, indiretto in seguito a caduta a terra con gomito e polso estesi.
La sintomatologia della lussazione della clavicola (acromion-claveare) è caratterizzata da dolore locale e deformità del profilo acromion-claveare. La muscolatura del distretto va generalmente incontro a contrattura antalgica.
I quadri clinici sono comunque molto variabili in relazione all’entità del danno.
L’esame radiologico di base prevede proiezioni specifiche per l’articolazione acromion claveare. Anche l’esame ecografico può evidenziare le lesioni legamentose e dare indicazioni sul grado della lussazione. La risonanza magnetica è indicata nel caso si sospettino lesioni capsulo legamentose associate come la lesione della cuffia dei rotatori.
Il trattamento è generalmente conservativo e consiste nell’immobilizzazione dell’articolazione per circa 20 giorni. Ciò permette alle strutture lacerate di cicatrizzare nella posizione migliore, ma richiede, alla rimozione del bendaggio, un ciclo di rieducazione per ripristinare il movimento e per recuperare la forza, inevitabilmente compromessi sia dal trauma che dal riposo forzato.
Se la lesione è stata complessa per riavvicinare i capi articolari diventa indispensabile il ricorso alla chirurgia seguito da un trattamento riabilitativo.
La ripresa dello sport è possibile quando il movimento articolare non è più doloroso, generalmente dopo 4-8 settimane.
Il trattamento chirurgico è indicato in base alla gravità del quadro clinico e alle richieste funzionali del paziente.
Le lesioni dell’articolazione acromion-claveare vengono classificate sia in relazione all’entità della rottura legamentosa (andando dalla lesione incompleta a quella completa) che in base alla direzione della dislocazione della clavicola, dando origine a diversi quadri diagnostici.
La maggior parte di questi ha uno sviluppo terapeutico simile che inizia con l’immobilizzazione con un tutore dell’articolazione per 2/4 settimane; sintomo comune è il dolore che può persistere per un lungo periodo di tempo.
Eliminato il tutore è necessario iniziare precocemente il programma riabilitativo con l‘obiettivo primario di controllare il dolore attraverso terapie fisiche (laser, tens, ghiaccio), massaggio rilassante e decontratturante delle strutture periarticolari e riflessogeno del piriforme; parallelamente si può iniziare un lavoro di mobilizzazione a ROM ridotto a partire dalla terza settimana con graduale aumento dell’articolarità sia in piscina che in palestra.
Una volta arrivati al ROM completo è possibile iniziare il recupero della forza attraverso esercizi isometrici dei muscoli della cuffia dei rotatori e stabilizzatori della scapola; progressivamente verranno inseriti esercizi isotonici e di rinforzo anche per il sovraspinoso e deltoide ed esercizi eccentrici della cuffia dei rotatori.
Il programma riabilitativo si conclude con esercitazioni in campo di lancio e presa di oggetti su diverse superfici, di educazione al movimento e prevenzione delle recidive
Impingement (Sindrome da conflitto sub-acromiale).
La sindrome da conflitto subacromiale, altresì detta sindrome da impingement, è una patologia che provoca dolore alla spalla, causato dalla compressione del tendine del muscolo sovraspinato durante il movimento di sollevamento e abbassamento del braccio.
Ogni volta che l’arto superiore viene sollevato oltre un certo grado si verifica un restringimento dello spazio fra la testa omerale e l’acromion dove, protetti dalla borsa, scorrono i tendini della cuffia dei rotatori. Nella ripetizione di certi gesti atletici o di più normali mansioni lavorative, sia per squilibri muscolari che per l’irregolarità del profilo acromiale, l’aumento dell’attrito all’interno di questo spazio provoca dei fenomeni di infiammazione delle strutture in esso contenute (Impingement).
Questo fenomeno è definito “Sindrome da conflitto subacromiale” e, a lungo andare, può comportare la comparsa di calcificazioni estremamente dolorose associate alla progressiva degenerazione del tendine fino alla rottura. Il dolore insorge anche di notte.
Questa serie di eventi provoca inevitabilmente il mancato uso dell’arto superiore, facilitando la formazione di aderenze intra-articolari con ulteriore aggravamento del quadro clinico.
Il medico specialista va consultato tempestivamente, perché una terapia riabilitativa iniziata in modo precoce e ben condotta è in grado di interrompere il circolo vizioso che abbiamo descritto, evitando il ricorso a terapie farmacologiche e infiltrative che diventano indispensabili nelle fasi più avanzate della malattia.
Se le indagini eseguite rivelano la presenza di alterazioni anatomiche importanti, come lesione dei tendini della cuffia dei rotatori più o meno completa, o la presenza di calcificazioni molto voluminose, il trattamento più indicato sarà quello chirurgico seguito da un lungo ciclo di rieducazione.
La causa principale di impingement è lo squilibrio muscolare dei muscoli che sottendono ai movimenti della spalla, sia di origine traumatica sia overstress (sportivi che lanciano con il braccio). Questo, unito a una lassità dei legamenti della gleno-omerale, può generare una condizione di sofferenza della spalla.
Più che in altre patologie per la guarigione da lussazione della clavicola (acromion-claveare) è necessario un programma riabilitativo individualizzato e mirato al riequilibrio muscolare.
L’obiettivo della prima fase del programma riabilitativo è la riduzione del dolore, attraverso l’utilizzo di terapie fisiche (tens, laser, ultrasuoni), e il recupero del ROM articolare completo attraverso mobilizzazioni attive e passive su tutti i piani sotto soglia di dolore, stretching capsulare e muscolare e massaggio rilassante e decontratturante.
Raggiunti gli obiettivi di questa prima fase è necessario procedere alla fase principale del programma rieducativo, quella del recupero e del riequilibrio della forza rispettando la regola di rilassare il muscolo antagonista (attraverso massaggio e stretching) prima di rinforzare il muscolo agonista.
Il programma riabilitativo prevede il recupero della muscolatura di tutto il cingolo scapolare, soprattutto del sovraspinoso, dei muscoli stabilizzatori della scapola (romboidei), degli abbassatori della testa dell’omero (gran dorsale), degli extrarotatori e degli intrarotatori della cuffia.
Raggiunto il tono e l’equilibrio muscolare ottimale, si conclude il programma riabilitativo in campo attraverso l’esecuzione di esercizi propriocettivi e di recupero della coordinazione fino ad arrivare ai gesti sport specifici, cercando di fare attenzione ai sovraccarichi.
Al termine verrà consegnato un programma di esercizi di mantenimento da eseguire dopo la dimissione per mantenere l’equilibrio muscolare raggiunto.

Frattura dell’omero

La frattura dell’omero prossimale è un frattura molto comune della spalla.
Particolarmente comune negli individui anziani a causa dell’osteoporosi, l’omero prossimale è tra le ossa che si rompono più frequentemente in una spalla.
Una frattura dell’omero prossimale si verifica quando la sfera dell’articolazione della spalla, la testa dell’omero (l’osso del braccio) si rompe. La frattura quindi si localizza in cima all’osso del braccio (omero).
La maggior parte delle fratture dell’omero prossimale non sono scomposte (non sono fuori posizione), ma circa il 15-20% di queste fratture sono scomposte e queste possono richiedere un trattamento più invasivo.
La spalla è un’articolazione molto complessa la cui peculiarità è legata all’enorme libertà di movimento, permesso dalle dimensioni ridotte della glenoide rispetto alla testa omerale, che consente di portare la mano in quasi tutti i punti dello spazio.
In questa tipologia di pazienti il meccanismo traumatico è spesso una banale caduta (soprattutto in soggetti con osteoporosi), spesso con gomito esteso e mano atteggiata in difesa, mentre nei soggetti più giovani le cause più comuni sono i traumi violenti, le cadute dall’alto, gli incidenti stradali e i traumi sportivi.
La sintomatologia è caratterizzata da dolore intenso sopra l’area della lesione e immediata impotenza funzionale, con arco di movimento limitato su tutti i piani dello spazio e ridotta forza dei muscoli della spalla. Il dolore peggiora anche con minimi movimenti della spalla.
Il tipo di trattamento dipende dalla composizione della frattura.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione, si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione.
La tipologia di trattamento chirurgico è variabile in base alla sede della frattura (piccola tuberosità dell’omero, grande tuberosità dell’omero, testa omerale e collo anatomico) e al numero di frammenti ossei (2,3,4 parti).
Indipendentemente dal tipo di intervento effettuato è indispensabile la mobilizzazione precoce per prevenire la rigidità post-traumatica.
La mobilizzazione passiva viene iniziata al più presto, nell’arco libero da dolore. Il medico gestore mantiene un contatto continuo con il chirurgo, per stabilire insieme i tempi e le modalità del recupero articolare.
Per verificare il mantenimento dei rapporti e la stabilità della frattura sintetizzata vengono eseguiti frequenti controlli radiografici. È opportuno eseguire anche una risonanza magnetica per controllare le condizioni dell’osso della testa omerale che in caso di frattura prossimale dell’omero può andare incontro a necrosi.
Le fasi di recupero della coordinazione e della gestualità sportiva possono essere eseguite alternando sedute in palestra con sedute in campo, dove la coordinazione tra i movimenti del tronco e dell’arto superiore, e quindi della catena cinetica complessiva, vengono analizzati e rieducati al meglio.
Il periodo di trattamento richiede non meno di 3-4 mesi di terapie per il recupero dell’articolarità e della funzionalità.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione, che può cominciare già dopo una settimana con esercizi pendolari e caute mobilizzazioni per diventare più intenso dopo tre settimane.
A partire dalla terza settimana dall’intervento possono essere messi in atto esercizi di cauta mobilizzazione assistita, privilegiando i movimenti in elevazione sul piano scapolare e facendo molta attenzione invece nelle rotazioni.
Dopo il controllo radiografico a trenta giorni, se l’ossificazione procede bene, il programma riabilitativo prevede il rinforzo di cuffia dei rotatori, stabilizzatori della scapola e propriocezione.
Andranno eseguiti quindi esercizi pendolari, esercizi di riattivazione degli stabilizzatori della scapola, massaggio del cingolo scapolare, soprattutto del trapezio superiore e dell’elevatore della scapola spesso contratti.
È molto utile il trattamento rieducativo in acqua che consente un maggiore rilassamento muscolare.
Dalla 6° settimana post-operatoria si può agire maggiormente sulla mobilizzazione, rispettando comunque il dolore e il completamento della cicatrizzazione dei tessuti; l’inserimento nel protocollo di esercizi attivi per la cuffia dei rotatori andrà concordato con il chirurgo onde evitare scomposizioni della frattura sempre possibili nei primi mesi dall’intervento.
La prognosi è di circa 3 mesi di terapie per il pieno recupero dell’articolarità e di 4 mesi per il ritorno allo sport in pazienti sportivi.

Capsulite adesiva

La capsulite adesiva della spalla, volgarmente detta spalla congelata, è una patologia infiammatoria che causa la perdita di mobilità dell’articolazione omero scapolare. È una patologia in cui tipicamente i sintomi si presentano in maniera lieve e peggiorano gradualmente nel tempo.
Può essere idiopatica o secondaria a traumi dell’articolazione e interventi chirurgici soprattutto se trattati con immobilizzazione prolungata. E’ caratterizzata da una progressiva scomparsa dell’articolarità a causa della perdita di flessibilità della capsula.
Nei pazienti con diabete mellito insulino dipendente si può instaurare una forma di capsulite adesiva più tenace e difficile da trattare. Altre cause predisponenti possono essere l’ipotiroidismo, la malattia di Parkinson, un recente infarto miocardico, la terapia con Fenobarbital.
Nella prima fase della patologia si forma un tessuto cicatriziale attorno alla capsula che progressivamente si organizza. Il paziente riferisce sensazione di dolore diffuso che aumenta durante la notte e il ROM inizia a ridursi.
In un secondo momento la spalla va incontro a una artrodesi fibrotica e il ROM è significativamente limitato. Più la spalla diventa rigida, più diminuisce il dolore.
Successivamente riprende gradualmente la mobilità con una sintomatologia dolorosa modesta (questa fase si può presentare in un tempo molto variabile fino ad arrivare a 18-24 mesi dall’esordio).
I segni classici di questa patologia sono dolore e progressiva perdita di articolarità in assenza di traumi noti.
La diagnosi nella fase attiva è spesso difficile: il paziente presenta una limitazione del movimento su tutti i piani (soprattutto intra ed extra-rotazione), sia attivo che passivo, di almeno il 50% rispetto al controlaterale.
Sono presenti difficoltà nelle attività quotidiane, come nel vestirsi e svestirsi e nei movimenti sopra il capo.
Per evidenziare depositi calcifici o escludere altre patologie verranno prescritte radiografie in proiezioni standard.
Il processo di recupero è di solito molto lento e può richiedere più di 2 anni. La riabilitazione consiste in attività finalizzate al recupero dell’articolarità, sia in palestra che in piscina.Possono essere indicate terapie fisiche. Utile l’uso di terapia farmacologica.
Dopo 12 mesi di trattamento con scarsi risultati può essere indicata la mobilizzazione in anestesia o l’artrolisi artroscopica.

Frattura della clavicola

La frattura della clavicola consiste nella rottura dell’osso lungo che decorre orizzontalmente dalla parte superiore dello sterno alla parte superiore della scapola. Queste fratture sono solitamente conseguenti a una caduta su un braccio teso o a un colpo diretto.
Quando la frattura è completa, il frammento mediale si porta in alto per azione dello sternocleidomastoideo, mentre il frammento laterale va in basso per l’azione del deltoide e del peso del braccio.
Il dolore in sede di frattura potrebbe essere talmente intenso da renderti incapace di muovere l’arto. L’area appare gonfia con presenza di deformità a livello dei capi di fratture che altera il normale profilo della spalla.
La guarigione della frattura della clavicola avviene tanto più velocemente quanto più i frammenti sono allineati, e questo richiede che la spalla venga trazionata all’indietro dal bendaggio funzionale “a 8”, fastidioso ma necessario. La clavicola guarisce in circa tre settimane, ma se i monconi sono molto scomposti verrà prolungata l’immobilizzazione. Alla rimozione del bendaggio è presente un callo osseo esuberante percepito alla palpazione come gradino e spesso anche ben visibile. Si evita, se possibile, di trattare chirurgicamente questa lesione.
La riabilitazione della frattura della clavicola è molto importante: alla rimozione del bendaggio è opportuno cominciare un ciclo di terapie in piscina e in palestra per recuperare al più presto l’articolarità della spalla, la forza dei muscoli e il controllo neuromotorio della spalla.
Nella fase acuta del trauma, in attesa dell’intervento medico è importante immobilizzare la parte lesa per evitare il più possibile movimenti che intensificherebbero la frattura e il dolore.
Raramente il trattamento è chirurgico a causa dell’esiguità del tessuto sottocutaneo che espone l’osso a infezione e al rischio di pseudoartrosi.
Per questo motivo la maggior parte delle fratture di clavicola viene trattata con un protocollo riabilitativo specifico. Dopo la rimozione definitiva del bendaggio il trattamento consiste in una prima fase di recupero della piena articolarità su tutti i piani della spalla in piscina, attraverso esercizi di fluidità e mobilità attiva e passiva.
Successivamente il protocollo prevede il recupero della forza degli stabilizzatori della scapola, del cingolo scapolare, attraverso esercitazioni in palestra con elastici a resistenze crescenti, nonché il pieno recupero del controllo neuromotorio attraverso la presa di coscienza della posizione dell’arto sia attraverso la continua correzione della postura da parte del rieducatore con richiami verbali (durante l’esecuzione degli esercizi) sia eseguendo gli esercizi davanti allo specchio per autocorreggersi.
Il percorso rieducativo termina con esercitazioni propriocettive e sport specifiche (soprattutto per l’extrarotazione) in campo per la ripresa sportiva. Solitamente le fratture di clavicola si risolvono positivamente in 8-12 settimane dopo il trauma.

Instabilità della spalla

L’articolazione della spalla è costituita da tre ossa – omero, clavicola e scapola – connesse da muscoli, tendini e legamenti.Tutte queste strutture si muovono reciprocamente, senza attriti, grazie alla presenza di una borsa che, contenendo fluido oleoso, funziona come un cuscinetto.
La spalla è un’articolazione molto complessa la cui peculiarità è legata all’enorme libertà di movimento, permesso dalle dimensioni ridotte della glenoide rispetto alla testa omerale, che consente di portare la mano in quasi tutti i punti dello spazio.
Nella definizione di instabilità della spalla rientrano differenti quadri nosologici, quali le lussazioni della spalla, le sublussazioni della spalla e la patologia da iperlassità.
Sono state proposte diverse classificazioni e noi ci riferiremo all’instabilità che interessa i pazienti con segni di lassità congenita generalizzata, associata a instabilità di spalla bilaterale e multidirezionale (anteriore, posteriore e inferiore).
L’instabilità della spalla può anche essere acquisita in sportivi quali ginnasti, pallavolisti, sollevatori di pesi e nuotatori.
Il meccanismo patogenetico è da ricercarsi nella reiterazione dei movimenti sopra il capo che a causa della lassità articolare creano sollecitazioni meccaniche anomale su strutture nervose e tessuti molli periarticolari (microtraumi ripetuti) fino a dare origine al dolore.
I sintomi più comuni consistono nel dolore alla spalla e/o disturbi tipo “braccio morto” o parestesie all’arto superiore durante le attività della vita quotidiana o sportiva che fino ad allora erano risultate asintomatiche.
Anche uno o più episodi di lussazione, o più spesso sublussazione senza un trauma significativo, rientrano nel quadro sintomatologico.
Per avere accertamenti sullo stato delle strutture capsulari, tendinee e muscolari, e del cercine, il medico prescriverà esami strumentali.
Nel caso dell’instabilità della spalla, il trattamento conservativo rappresenta un primo approccio nella gestione della complessa situazione clinica.
Il percorso riabilitativo è finalizzato principalmente al miglioramento della biomeccanica articolare con esercizi per i muscoli che stabilizzano l’articolazione. In particolare negli sport “overhead” bisogna rinforzare tutti i muscoli della cuffia perché sono coinvolti nel controllo della traslazione omerale.
Per ovviare al deficit della coordinazione è fondamentale il recupero del controllo neuromuscolare della spalla. Gli esercizi per la coordinazione possono trovare la giusta applicazione nella rieducazione sul campo, dove il paziente viene sottoposto a esercitazioni dinamiche e maggiormente specifiche.
Soltanto nel caso in cui dopo almeno 6 mesi di terapia conservativa non fossero raggiunti risultati soddisfacenti, verrà proposto l’intervento chirurgico, che dovrà essere comunque seguito da un trattamento riabilitativo adeguato.
Episodi di lussazione recidivante o di instabilità della spalla cronica vanno valutati per scegliere il trattamento chirurgico più adeguato.
La chirurgia può restituire il controllo all’articolazione scapolo-omerale, aumentando l’effetto contenitivo delle strutture deputate alla stabilità statica, come la capsula e il cercine glenoideo.
Dopo l’intervento il dolore sarà piuttosto intenso, ma verrà controllato con i farmaci antidolorifici e l’applicazione di ghiaccio.
In seguito all’intervento in artroscopia, si dovrà portare un tutore per 3 settimane. Alla sua rimozione si potrà iniziare il percorso riabilitativo.
Il percorso riabilitativo per instabilità della spalla ha lo scopo di raggiungere il massimo recupero funzionale e il suo inizio molto precoce è dovuto al fatto che in questo modo si può agire tempestivamente per lavorare in maniera specifica sull’extrarotazione.
Si procede quindi con terapie fisiche e lavoro decontratturante sul cingolo scapolare, associato a mobilizzazioni attive ed attive/assisti, anche attraverso l’idrokinesiterapia dove si sollecita la spalla anche a 90° di elevazione e abduzione.Il primo obiettivo da raggiungere è ridare al paziente la piena articolarità della spalla per poter svolgere le attività della vita quotidiana (guidare, lavorare, ecc.). Succesivamente oltre all’attivita passiva svolta dal rieducatore, su tutte le direzioni. Verrà data maggior importanza allo stretching capsulare e al recupero delle rotazioni.
Ad articolarità completa si inizia a rinforzare tutto il cingolo scapolare, correggendo le eventuali discinesie presenti anche prima dell’intervento, rinforzando i muscoli del braccio, associando sempre lavori assistiti di stretching della capsula. Il ritorno all’attività sportiva non può prescindere in questa fase anche dal lavoro di core stability.
La spalla, che ormai ha un adeguato livello di forza, inizia a subire delle sollecitazioni su tutte le direzioni, a intensità crescente (palla a muro, superfici instabili, lanci, ecc.). In questa fase della riabilitazione si comincia il lavoro specifico senza l’uso degli attrezzi. Si esegue la propedeutica al campo con sedute di neuro plasticità in acqua.
Per chi pratica sport è necessario dopo aver raggiunto il massimo recupero in ambiente protetto iniziare a ritrovare il gesto specifico e quindi inizia la riabilitazione sul campo sportivo. Questa fase prevede una progressione che vede l’utilizzo di superfici instabili, lancio a diversi gradi con palle a diametro progressivo, inserimento di contrasti con sagome fisse, contrasti contro sagome in movimento, utilizzo dell’attrezzo sportivo (racchette, mazze da golf, ecc.) sia con vincoli e resistenze sia libero.
A questo punto sarà recuperata la completa gestualità e si potrà ricominciare a praticare qualsiasi sport.