La frattura dello Scafoide avviene solitamente in seguito ad una caduta con la mano in iperestensione oppure in flessione con pugno chiuso.
Il primo obiettivo della riabilitazione della frattura dello Scafoide, è il recupero del ROM fisiologico, attraverso mobilizzazioni articolari passive e attive in flessione, estensione, prono-supinazione del polso e mobilizzazioni articolari, sia del pollice che delle dita attigue.
In questa fase, per ridurre il dolore, è utile associare a terapie fisiche (ghiaccio locale, Laser ad Alta Potenza, Ipertermia) Tecarterapia drenante o massoterapia drenante e decontratturante dell’ arto superiore; è inoltre utile associare nella prima fase della riabilitazione, la magnetoterapia, per accelerare il processo di consolidamento dell’osso. Raggiunta l’articolarità completa, è possibile progredire alla seconda fase della riabilitazione, incentrata sul recupero della forza dei muscoli della mano (con elastici, palline di diverse consistenze, pinze e retine ) ed esercitazioni propriocettive, utili per il recupero neuromotorio della funzionalità della mano.
Il meccanismo traumatico più frequente per la distorsione del polso, è la caduta a terra sulla mano in estensione ed extrarotazione, che comporta uno stiramento delle strutture capsulari. Tra i sintomi più comuni della distorsione del polso, annoveriamo dolore, gonfiore, limitazione funzionale, ipostenia (debolezza) e rigidità (prevalentemente per i traumi non recenti).
Normalmente il riposo, con bendaggio, ghiaccio ed eventualmente un tutore, risolvono il dolore. Nel caso non fosse sufficiente, è possibile iniziare la riabilitazione. Il programma prevede, l’utilizzo di terapie fisiche (Laser ad Alta Potenza, Onde d‘Urto radiali, Tecarterapia) per la riduzione del dolore, mobilizzazioni attive e passive per il recupero del ROM fisiologico e massaggio dei muscoli dell’ avambraccio, per controllare le eventuali contratture muscolari antalgiche.
Le distorsioni delle dita. dette anche lesioni legamentose delle articolazioni falangee, sono normalmente di 1° e 2° e colpiscono, più frequentemente, il 4° e 5° dito perché più vulnerabili. Le conseguenze sono, dolore immediato, la limitazione, che spesso è in funzione del grado di gonfiore, e l’impossibilità a chiudere il pugno.
Solitamente, dopo un bendaggio per alcuni giorni, è possibile iniziare la riabilitazione.
La prima fase del programma rieducativo delle distorsioni delle dita, è incentrata sul controllo del dolore e dell’ infiammazione con terapie fisiche (laser, ultrasuoni ed elettroterapia galvanica) e sul recupero del ROM fisiologico, con mobilizzazioni attive e passive, anche contro resistenza.
Successivamente, si passa al recupero della forza della mano con vari oggetti tipo pinza, palline, ecc. ed al recupero della capacità prensile e della motricità fine attraverso esercizi propriocettivi specifici (Ergoterapia) .
L’epicondilite, nota anche con il nome di “gomito del tennista”, è una sindrome dolorosa da sovraccarico che colpisce frequentemente i tennisti e chi pratica sport e lavori unilaterali dell’arto superiore.
Inizialmente il dolore si presenta solo durante l’attività sportiva o alla palpazione dell’epicondilo laterale, successivamente il dolore è presente anche a riposo.
RIABILITAZIONE
Durante la fase acuta dell’epicondilite si consiglia riposo dalle attività per almeno 20 giorni, si può iniziare con terapia fisica come laser, ultrasuoni e Tecar, accompagnati da esercizi di stretching e massaggio di scarico. La ripresa dell’attività è graduale e solo dopo si procede al rinforzo dei muscoli flessori e della spalla.
Per il dolore cronico recidivante le ONDE D’URTO rappresentano un valido aiuto.
In caso d’intervento chirurgico, viene applicato un tutore con molle per 2/3 giorni; dopo circa 10 giorni dall’intervento è importante iniziare la riabilitazione per la completa ripresa articolare, si procede al rinforzo muscolare e alla ripresa dell’attività sportiva dopo circa 50 giorni.
Dopo la spalla il gomito è l’articolazione che si lussa più spesso, nei bambini sotto i 10 anni è la più frequente. In molti casi la lussazione del gomito è accompagnata a frattura.
Il dolore è molto intenso, in occasione del trauma il movimento è impossibile.
Generalmente si interviene con la riduzione precoce e successiva immobilizzazione a 90 gradi per almeno 2 settimane .
È importante eseguire le varie fasi di riabilitazione per il recupero Funzionale completo, dal controllo del dolore e gonfiore al miglioramento dell’articolarita’ della forza muscolare e della coordinazione.
Il primo obiettivo della riabilitazione della lussazione del gomito è il controllore del dolore attraverso la terapia fisica; Ionoforesi, ultrasuoni, laser e terapia la quale oltre al dolore aiuterà a rilassare i vari gruppi muscolari.
Per il recupero articolare si eseguono graduali mobilizzazioni del gomito sia sul piano della flesso/estensione che della pronto/supinazione, senza dimenticare il recupero a monte e a valle per evitare deficit residuo di movimento, inoltre utile la MASSOTERAPIA DECONTRATTURANTE .
Ottenuta l’articolarita’ completa ci concentriamo al graduale rinforzo muscolare, prima con resistenza manuale poi rinforzo con elastici e zavorre per Bicipite/Tricipite e Prono Supinatori.
Importante sempre il recupero di forza dei muscoli dell’avambraccio e spalla. L’IDROKINESITERAPIA rappresenta un valido supporto per la ripresa totale.
Con il termine dorsalgia s’intende una patologia che coinvolge il tratto dorsale della colonna vertebrale.
Le cause più frequenti di dolore a questo livello sono una ipercifosi o un crollo vertebrale osteoporotico. Entrambe sono patologie prevalentemente riscontrabili nei pazienti anziani che con l’avanzare dell’età tendono a “curvarsi in avanti”.
L’aumento della curva cifotica toracica provoca uno squilibrio delle forze di carico su tutta la colonna e in particolare sulle vertebre dorsali, le quali avranno quindi la tendenza a cuneizzarsi.
Allo stesso modo però, anche in pazienti giovani che assumono abitualmente posture errate, l’accentuazione della cifosi mette in tensione la muscolatura dorsale che diventa dolente e nel tempo potrebbe essere causa di dolore o della formazione di protrusioni ed ernie discali.
Riabilitazione per dorsalgia
A seconda della causa che determina la dorsalgia il paziente può presentarsi con dolore acuto a seguito o meno di uno sforzo o di un trauma, che si accentua con i movimenti respiratori.
In genere, è sempre presente una contrattura muscolare dei paravertebrali dorsali.
Il primo obiettivo del programma terapeutico è quindi la riduzione del dolore e della contrattura che si ottiene attraverso l’utilizzo di terapie fisiche come tens, laser, tecar, impacchi caldo-umidi e ultrasuoni, ma soprattutto con la massoterapia decontratturante dei paravertebrali dorsali e lombari, romboidei e trapezi.
Parallelamente è necessario l’allungamento muscolare dei suddetti muscoli che sono generalmente ipertonici e retratti e una correzione posturale dell’assetto globale del rachide.
Alla scomparsa del dolore il programma rieducativo si incentra sull’attività aerobica consentita e sul recupero muscolare degli stabilizzatori dell’addome e dei muscoli di spalla e dorso che presentano deficit di forza.
Il termine generico di lombalgia raggruppa una serie di patologie che generano mal di schiena, ovvero dolore a livello dei muscoli e delle ossa della schiena.
Le cause più frequenti di lombalgia possono essere associate o meno a un trauma. Nel primo caso generalmente è riscontrabile la presenza di una protrusione o un’ernia discale o di una spondilolistesi.
Più raramente la causa è uno stiramento o strappo muscolare o la comparsa di una frattura vertebrale lombare con o senza interessamento midollare. Nel secondo caso possiamo riscontrare artriti infiammatorie, patologie tumorali o i difetti intervertebrali minori (DIM) ed è frequentissimo un interessamento muscolare in risposta alle scorrette abitudini di vita, come ad esempio una posizione sul divano o sulla sedia da lavoro, molte ore passate in auto, carichi esagerati durante gli allenamenti in palestra, aumento di peso corporeo e tanti altri.
L’episodio di lombalgia acuta è noto come “colpo della strega”, infatti si tratta di un dolore talmente intenso da costringere il paziente a rimanere a letto per diversi giorni e che in genere insorge dopo un movimento brusco in torsione o in flesso-estensione del rachide. Spesso i sintomi si presentano dopo aver sollevato un peso in posizione semiflessa con la sensazione di schiena bloccata. Altre volte bastano anche gesti banali come infilarsi i pantaloni o chinarsi davanti al lavandino.
Questi sintomi possono persistere anche per diversi mesi se non adeguatamente trattati e in questo caso parliamo invece di lombalgia cronica.
Riabilitazione per lombalgia
La lombalgia può essere suddivisa in acuta o cronica a seconda della modalità di insorgenza, ma entrambe presentano caratteri comuni caratterizzati da presenza di dolore localizzato nella regione lombare, blocco più o meno marcato in alcuni movimenti soprattutto al mattino e difficoltà a mantenere una posizione prolungata nel tempo.
Il protocollo terapeutico in entrambi i casi è simile, variano solo le tempistiche di guarigione.
L’obiettivo primario del programma rieducativo è la riduzione della tensione muscolare e del dolore, attraverso terapie fisiche come laser, tens, tecar e vibra e massoterapia decontratturante.
Ridotta la contrattura muscolare, è possibile recuperare l’articolarità e la mobilità attraverso lo stretching muscolare degli adduttori, psoas, glutei e ischiocrurali; non appena possibile, è utile effettuare anche attività aerobica consentita (camminata su tapis roulant, ellittica) non prima però di aver provveduto alla correzione posturale dell’assetto globale del rachide.
Una volta diminuito il dolore, è possibile iniziare la fase di tonificazione muscolare attraverso esercizi dapprima in isometria e poi per ottenere un miglioramento del controllo e della stabilità globale.
La spondilolisi è un’alterazione della morfologia del rachide lombare che consiste nell’interruzione di continuità di una parte della vertebra chiamata istmo.
Se l’istmo si interrompe da entrambi i lati, il corpo vertebrale tende a scivolare in avanti sul corpo della vertebra sottostante producendo una spondilolistesi.
La causa della spondilolisi non è del tutto nota: si pensa che vi sia una debolezza congenita dell’istmo in certi individui. I microtraumi ripetuti o un trauma singolo di una certa entità, possono causare la comparsa della sintomatologia algica.
Colpisce quasi sempre la 5° vertebra lombare che quindi tende a scivolare sul corpo del sacro, e la 4° vertebra lombare che scivola sulla 5°.
La spondilolisi è sostanzialmente benigna, ma tende ad evolvere negli anni ed è comunque una causa di instabilità del rachide.
Solo nei quadri più evoluti la listesi può causare una stenosi del canale con conseguente compressione nervosa.
La terapia conservativa solitamente è il primo approccio con sedute di fisiokinesiterapia mirata al recupero funzionale.
Nei casi più gravi in cui la listesi è tale da provocare una compromissione midollare o radicolare, è necessario l’intervento chirurgico di stabilizzazione vertebrale.
Riabilitazione per Spondilolisi
Il primo obiettivo è la riduzione del dolore, attraverso la terapia manuale decontratturante dei paravertebrali lombo-sacrali accorciati per la frequente associazione a forte iperlordosi lombare. E’ necessario ricercare una buona flessibilità della catena posteriore attraverso esercizi di stretching per i paravertebrali lombari, i glutei, gli ischiocrurali e l’ileopsoas, evitando posture in estensione (McKenzie) che possono accentuare lo scivolamento anteriore della vertebra.
Se la listesi è stabile, si può impostare un protocollo di riabilitazione con potenziamento degli addominali selettivi, dei glutei e dei muscoli del core con l’obiettivo di creare un corsetto naturale che stabilizzi la colonna lombare in situazioni statiche e dinamiche.
A livello lombare si possono avere diversi tipi di frattura delle vertebre lombari. Clinicamente si distinguono due gruppi:
• fratture senza interessamento neurologico ossia fratture amieliche;
• fratture con interessamento neurologico ossia fratture mieliche.
La sintomatologia della frattura delle vertebre lombari amielica consiste nel dolore locale, nell’impotenza o nella limitazione funzionale e nelle alterazioni posturali/antalgiche della colonna, la quale può essere deviata in cifosi o in scoliosi, in rapporto al tipo e all’entità della frattura.
La frattura stabile viene trattata inizialmente con il riposo; in seguito è necessario iniziare il trattamento riabilitativo in acqua o in palestra per il recupero completo dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana.
La frattura instabile, invece, devoe essere trattate chirurgicamente al fine di ottenere la stabilizzazione.
Con il termine di stenosi del canale lombare si identifica una riduzione del diametro del canale vertebrale con graduale compressione e sofferenza del midollo spinale e delle radici nervose. L’instaurarsi di questa condizione è causa, il più delle volte, dell’evoluzione di processi degenerativi come fenomeni spondilosici e spondiloartrosici, comparsa di ernie discali o fattori traumatici.
La sintomatologia predominante di questo disturbo è data dai segni neurologici di compromissione midollare con conseguente comparsa di lombalgia, lombosciatalgia, lombocruralgia, deficit di sensibilità e riflessi agli arti inferiori e perdita di tono-trofismo muscolare con conseguente difficoltà a mantenere a lungo la posizione eretta e a camminare.
Il trattamento di scelta è conservativo nelle forme più lievi, in cui si procede ad un trattamento di idrokinesiterapia o fisiokinesiterapia mirato e riduzione del peso corporeo.
Nelle forme più gravi di stenosi del canale lombare, invece, è necessario un intervento chirurgico.
Riabilitazione per la stenosi del canale lombare
Il trattamento prevede esercizi attivi e passivi finalizzati alla decompressione, al riallineamento vertebrale, al miglioramento del range articolare e alla tonificazione muscolare, con l’utilizzo di pompage della colonna, massoterapia ed esercizi di allungamento e di rinforzo soprattutto in vasca riabilitativa.
A questi si possono inoltre abbinare delle terapie fisiche che aiutano a ridurre il dolore quali tens, laserterapia, tecar e vibra.
Il disco intervertebrale è come un cuscinetto ammortizzatore interposto tra due vertebre contigue. È composto da un nucleo polposo centrale ricco d’acqua e un rivestimento esterno fibroso che lo contiene chiamato anulus.
Generalmente alterazioni croniche o da sovraccarico, nel tempo possono causare una degenerazione dei tessuti, provocando un rimaneggiamento del nucleo polposo e un cedimento strutturale delle lamine del tessuto fibroso dell’anulus.
Si parla quindi di bulging o protrusione discale se il nucleo polposo spinge posteriormente e le fibre dell’anello fibroso sono leggermente sfiancate. Se invece l’anulus, in seguito a sollecitazioni maggiori, si lacera, il materiale contenuto all’interno del disco fuoriesce spingendosi lateralmente, verso il basso e più raramente verso l’alto e si parlerà di ernia del disco lombare. Questi fenomeni possono insorgere sia per sforzi bruschi che per posizioni viziate protratte, per esempio davanti al computer o al televisore.
Dal punto di vista sintomatologico possono essere o non essere presenti deficit neurologici (sciatalgia, cruralgia, formicolio ai piedi, sensazione di ridotta sensibilità tattile e/o dolorifica agli arti inferiori, disturbi di motilità e trofismo degli arti inferiori, riflessi alterati agli arti inferiori) a seconda che vi sia o meno la compressione di una radice nervosa o del midollo spinale. È tipico in molti soggetti il coinvolgimento del nervo sciatico con dolore irradiato ai glutei e dietro la gamba. In questi casi è necessario valutare quali sono le strutture anatomiche coinvolte effettuando un confronto con l’esame clinico per stabilire il miglior percorso terapeutico.
Nella maggior parte dei casi il trattamento è di tipo conservativo fisioterapico, nei casi in cui sia molto importante la compromissione radicolare o midollare il trattamento di scelta invece sarà chirurgico.
Riabilitazione per ernia del disco lombare
Il paziente con ernia del disco lombare racconta che in passato ha già avuto qualche episodio di lombalgia e che dopo uno sforzo (talvolta uno starnuto o una flessione del busto) comincia ad avere dolore a una gamba, formicolio, irrigidimento muscolare: tutti sintomi che indicano un coinvolgimento della radice nervosa.
In questi casi il primo obiettivo della rieducazione è quello di ridurre il dolore e recuperare la mobilità. In questa fase della terapia sono importanti la massoterapia decontratturante per i paravertebrali e i flessori, la terapia fisica non invasiva come tens, laser, tecar e vibra, l’allungamento della catena muscolare anteriore con esercizi selettivi per gli ischiocrurali e soprattutto il recupero posturale globale preferibilmente in vasca riabilitativa, con esercizi in scarico per stimolare il controllo della posizione del bacino e delle gambe e recuperare in sicurezza il movimento quotidiano.
In seguito, si potrà procedere al recupero muscolare in palestra con esercizi di tonificazione selettiva degli addominali, del quadricipite, dei glutei e dei muscoli del core con l’obiettivo di creare un corsetto naturale che stabilizzi la colonna vertebrale durante i movimenti.
La lesione SLAP, o SLAP lesion (Superior Labral Anterior to Posterior), è la lacerazione della porzione superiore del cercine glenoideo dell’articolazione gleno-omerale della spalla.
IL cercine è un anello di cartilagine che serve a stabilizzare l’articolazione; questo, per cause traumatiche, per overuse o solo per invecchiamento si strappa in corrispondenza dell’inserzione del capo lungo del bicipite.
Raramente la comparsa dei sintomi è successiva a un traumatismo ben definito; più spesso la storia clinica riconduce a molteplici episodi traumatici durante attività “overhead”.
Molto spesso si è in grado di riprodurre la lussazione volontariamente e più comunemente ciò avviene in posizione di lancio.
La lesione SLAP è difficile da diagnosticare in quanto esistono molte altre condizioni che presentano sintomi simili, tra cui altri tipi di lesioni alla spalla nella cuffia dei rotatori, la lesione del sovraspinato o una lussazione.
Nel contesto della diagnosi clinica della spalla al paziente verrà chiesto da quanto tempo duri il dolore, se vi siano determinati movimenti che rendono il dolore più intenso e se vi siano già stati problemi simili in passato.
Possono presentarsi sintomi come sensazione di scatto o schiocco quando si muove la spalla, dolore durante il sollevamento e l’abbassamento del braccio, dolore quando ci si sdraia sulla spalla interessata, instabilità della spalla, arco di movimento limitato e perdita di forza nel braccio.
Nei casi più lievi l’intervento chirurgico viene evitato con l’abolizione dei gesti sportivi o lavorativi “overhead” che stressano la lesione.
La riabilitazione deve enfatizzare il rinforzo dei muscoli intrarotatori cercando di recuperare il più in fretta possibile l’articolarità completa senza però forzare l’extrarotazione.
Esercizi di stretching della capsula e della cuffia posteriore possono alleviare i sintomi.
Il trattamento chirurgico della Slap Lesion consiste nella regolarizzazione del cercine glenoideo, nell’ancoraggio del margine distaccato del labbro glenoideo con viti riassorbibili e tenodesi e ancoraggio del capo lungo del bicipite brachiale (CLB) quando più del 50% della sua inserzione è stato coinvolto associato o meno a intervento sulla cuffia dei rotatori e può essere condotto o per via artroscopica o a cielo aperto.
A volte si cerca di limitare chirurgicamente l’extra-rotazione e in tal caso si eseguono procedure complesse agendo o sui tessuti molli come avviene nell’intervento di Putti-Platt (plastica della cuffia e accorciamento del sottoscapolare) o creando un “blocco” osseo come avviene nell’intervento secondo la tecnica di Latarjet (trasposizione della coracoide).
In seguito all’intervento chirurgico di Slap Lesion è indispensabile eseguire un accurato programma di riabilitazione.
Dopo l’intervento viene generalmente posizionato un tutore in moderata abduzione in posizione neutra per 3-4 settimane.
Tra la 3° e la 6° settimana post-operatoria verrà concesso un graduale recupero della mobilità passiva su tutti i piani.
A questo punto si può incrementare il lavoro di articolarità per raggiungere la mobilità completa dopo 10-12 settimane da intervento.
A partire dalla 3° settimana si può iniziare un rinforzo isometrico submassimale con attenzione agli esercizi che possono sollecitare il capo lungo del bicipite; la mobilità attiva viene tuttavia mantenuta sotto i 90° di elevazione fino a circa 6 settimane dall’intervento quando si completa la fase di protezione.
Nei pazienti sportivi il programma riabilitativo sarà più aggressivo e accelerato e mira a recuperare la completa articolarità a 6-8 settimane dall’intervento (se non si inizia a mobilizzare subito la spalla aumenta il rischio di avere una rigidità di spalla con deficit soprattutto della extrarotazione).
Per il ritorno all’attività sportiva (sport di contatto e sport di lancio) servono circa 6 mesi dalla data dell’intervento.
In caso di lesione del tendine del capo lungo del bicipite omerale, a causa della propria origine e decorso anatomico, dovrà essere valutato quindi non solo il gomito ma anche la spalla.
Questo genere di patologia spesso è associata anche ad altre problematiche di spalla come tendiniti o tendinosi alla cuffia dei rotatori, instabilità di spalla o lesioni SLAP.
Colpisce in particolare 2 categorie di pazienti:
• Sportivi che praticano attività dove il braccio deve operare al di sopra del livello della testa “sport overhead” (pallavolo, tennis, pallamano, nuoto)
• Persone anziane che hanno già una degenerazione generalizzata di tutta l’articolazione della spalla
I meccanismi di lesione sono disparati. In molti casi si tratta di un momento di contrazione muscolare improvvisa in trazione o in compressione: raccogliere un oggetto che sta cadendo al volo, schiacciare un pallone, sollevamento di carichi molto pesanti.
Il punto in cui il capo lungo tende a erodersi maggiormente è quello di contatto con il solco dell’omero predisposto al mantenimento della sua posizione, ma a volte la frattura può avvenire appena sotto il punto di inserzione. Il punto in cui il capo lungo tende a erodersi maggiormente è quello di contatto con il solco dell’omero predisposto al mantenimento della sua posizione, ma a volte la frattura può avvenire appena sotto il punto di inserzione.
La lesione del capo lungo del bicipite omerale non dà quasi mai dolori insostenibili. Spesso può presentarsi un indolenzimento od uno scricchiolio al movimento ,comunque del tutto sopportabile. Al momento della completa rottura del tendine il dolore tende a sparire, mentre la massa muscolare che non è più sostenuta cade alla base del braccio, formando un rigonfiamento caratteristico che un medico sa senz’altro riconoscere. C’è comunque da dire che se il capo corto del muscolo è sano, il muscolo continua ad essere ancorato all’articolazione e quindi a funzionare; sicuramente il braccio risulta più debole, ma è comunque possibile effettuare la maggior parte dei movimenti.
La diagnosi è prevalentemente clinica. Un’eventuale ecografia può essere utile nei pazienti con dolore cronico di spalla nei quali si sospetti una lesione della cuffia dei rotatori.La terapia cambia in base al soggetto ed allo stato dei tessuti tendinei: spesso in soggetti anziani o nei giovani che presentano solo una lesione parziale e non svolgono sport o lavori particolarmente pesanti per la spalla, la terapia è prevalentemente conservativa
Essa non prevede cioè alcuna operazione, ma si assumono antidolorifici in caso di dolore e si segue un programma fisioterapico che preveda sedute di tecarterapia o magnetoterapia in grado di stimolare la rigenerazione dei tessuti; il tutto accompagnato sempre da un programma fisioterapico a ottenere la flessione completa del gomito e il recupero della forza.
Se invece il soggetto è uno sportivo o ha comunque bisogno di utilizzare tutta la forza che la spalla può concedere, è possibile sottoporsi ad un’operazione chirurgica se i tessuti sono abbastanza sani e integri da permetterlo. L’intervento avviene quasi sempre con tecnica artroscopica, in modo che le incisioni siano ridotte ai minimi termini e sia possibile inserire delle sonde che, manovrate dall’esterno, possono ripulire l’area dall’eventuale tessuto cicatriziale e ancorare il legamento all’osso. Solo casi particolarmente complessi prevedono un’operazione a cielo aperto.
Molto spesso capita di sentire persone colpite da una lussazione della spalla (gleno-omerale) esprimersi su ciò che gli è accaduto dicendo che gli è “uscita la spalla”.
Questo modo “popolare” di definire la lussazione della spalla (gleno-omerale) è sicuramente generico ma ha un suo fondo di verità. Ciò che avviene nell’articolazione della spalla in questi casi, infatti, è la fuoriuscita della testa dell’omero dalla sua sede naturale, cioè la scapola. Testa omerale e glena scapolare, quindi, perdono i loro rapporti reciproci.
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo, grazie alle dimensioni ridotte della cavità glenoidea rispetto alla testa omerale, che consente ampia libertà di movimento a discapito di una ridotta stabilità.La lussazione gleno-omerale rientra nel quadro dell’instabilità della spalla assieme alla sublussazione e alla “patologia da iperlassità”. L’instabilità deriva da un episodio traumatico solitamente ad alta energia, in cui vengono lesi i legamenti gleno-omerali (in particolare, il legamento gleno-omerale inferiore), il labbro glenoideo con avulsione della capsula gleno-omerale (lesione di Bankart).
È importante conoscere la posizione dell’arto al momento del trauma per poter individuare la direzione della lussazione, che può essere:
• antero-inferiore (il processo coracoide impedisce la lussazione anteriore diretta nel movimento in abduzione e rotazione esterna);
• posteriore (movimento in intra-rotazione forzata);
• inferiore (movimento in flessione forzata).
Nel caso del primo episodio traumatico di lussazione di spalla l’immobilizzazione per tre settimane in un tutore può portare a una cicatrizzazione dei tessuti molli e ciò contribuisce a prevenire l’instabilità ricorrente, la complicanza più importante della lussazione La scelta del tutore dipende dall’ortopedico.
Nei pazienti sportivi il trattamento elettivo è quello chirurgico perché, se operati in acuto, ci sono le migliori condizioni per la guarigione, che invece vengono meno quando la lesione è inveterata (per degenerazione del cercine e marcata retrazione capsulare, condizioni tipiche della instabilità cronica).
In genere, la riduzione della lussazione, e cioè il riposizionamento della testa omerale nella sua cavità, viene effettuato con manovre specifiche e non sempre facili.
È importante sapere se si tratta del primo episodio o se ci sono stati precedenti traumatici, quale lavoro svolgi e che sport pratichi.
La riabilitazione dopo una lussazione della spalla svolge un ruolo determinante, sia perché il riutilizzo dell’arto superiore ha bisogno di un’articolazione libera e non dolente, sia perché la più frequente complicanza che si verifica dopo un episodio di lussazione è il permanere di un’instabilità che prima o poi darà luogo a una recidiva.
Inizialmente la spalla si presenterà rigida, poco mobile, molto dolente, con una muscolatura ipotrofica e, non ultimo, difesa da un paziente molto spaventato. Il nostro compito è quello di personalizzare il programma per raggiungere il delicato equilibrio che consente la maggior articolarità e contemporaneamente la maggior stabilità possibile
Episodi di lussazione recidivante o di instabilità cronica della spalla vanno valutati per scegliere il trattamento chirurgico più adeguato.
La chirurgia può restituire il controllo all’articolazione scapolo-omerale, aumentando l’effetto contenitivo delle strutture deputate alla stabilità statica, come la capsula e il cercine glenoideo.
Dopo l’intervento il dolore sarà piuttosto intenso, ma verrà controllato con i farmaci antidolorifici e l’applicazione di ghiaccio.
In seguito all’intervento in artroscopia, si dovrà portare un tutore per tre settimane. Alla sua rimozione di si potrà iniziare il percorso riabilitazione
Il percorso riabilitativo per instabilità della spalla ha lo scopo di raggiungere il massimo recupero funzionale e il suo inizio molto precoce è dovuto al fatto che in questo modo si può agire tempestivamente per lavorare in maniera specifica sull’extra rotazione.
Alla rimozione del tutore la spalla è generalmente già poco dolente, persistono solo contratture antalgiche ed edemi declivi. Si procede quindi con terapie fisiche e lavoro decontratturante sul cingolo scapolare, associato a mobilizzazioni attive ed attive/assistite. In questa fase il recupero si ottiene anche attraverso l’idrokinesiterapia dove si sollecita la spalla anche a 90° di elevazione e abduzione. Dopo la 4°-5° settimana post operatoria il primo obiettivo da raggiungere è ridare al paziente la piena articolarità della spalla per poter svolgere le attività della vita quotidiana (guidare, lavorare, ecc.). Questo obiettivo si raggiunge inserendo, oltre all’articolarità attiva, anche quella passiva svolta dal rieducatore, su tutte le direzioni. Verrà data maggior importanza allo stretching capsulare e al recupero delle rotazioni.
Ad articolarità completa si inizia a rinforzare tutto il cingolo scapolare, correggendo le eventuali discinesie presenti anche prima dell’intervento, rinforzando i muscoli del braccio, associando sempre lavori di stretching della capsula assistiti.
La spalla, che ormai ha un adeguato livello di forza, inizia a subire delle sollecitazioni su tutte le direzioni, a intensità crescente (palla a muro, superfici instabili, lanci, ecc.). In questa fase della riabilitazione si comincia il lavoro specifico senza l’uso degli attrezzi. Si esegue la propedeutica al campo con sedute di neuroplasticità in acqua. Viene eseguito un test di valutazione funzionale per monitorare lo stato di forma raggiunto.
La spalla ormai ha raggiunto il massimo recupero in ambiente protetto: dovendo ritrovare il gesto specifico, inizia la riabilitazione sul campo sportivo. Questa fase prevede una progressione che vede l’utilizzo di superfici instabili, lancio a diversi gradi con palle a diametro progressivo, inserimento di contrasti con sagome fisse, contrasti contro sagome in movimento, utilizzo dell’attrezzo sportivo (racchette, mazze da golf, ecc.) sia con vincoli e resistenze sia libero.
A questo punto sarà recuperata la completa gestualità e si potrà ricominciare a praticare qualsiasi sport.
La sindrome dello stretto toracico superiore rappresenta una entità nosologica di difficile inquadramento.
Oggi è considerata come una sindrome dolorosa cronica determinata dalla compressione di strutture nervose e/o vascolari da parte di strutture ossee o muscolari. Questa compressione può essere causata anche da un’alterazione dell’equilibrio posturale del cingolo scapolare e dall’attività prolungata dell’arto superiore sopra il capo o da problemi artrosici del rachide cervicale che possono determinare una contrattura riflessa degli scaleni.
La sintomatologia, tipicamente intermittente, è legata alla posizione dell’arto superiore ed è caratterizzata da una combinazione di sintomi e segni clinici riferiti al rachide cervicale, alla spalla, al braccio e alla mano, isolati o combinati fra loro, che solitamente peggiorano se si solleva l’arto sopra il capo per ulteriore riduzione dello spazio anatomico destinato al passaggio delle strutture vascolo-nervose.
La sindrome dello stretto toracico nel tempo può causare emicrania cronica, deficit di forza e di coordinazione dell’arto superiore, impossibilità a svolgere attività lavorative con gesti sopra il capo (imbianchino, magazziniere, ecc.), oppure portare al fenomeno di Raynaud fino alla comparsa di ulcere cutanee al braccio e alla mano.
Clinicamente è presente dolore nei gradi estremi dell’arco di movimento: la flessione e l’abduzione attiva della spalla sono limitate e si hanno compensi (sopraelevazione del moncone della spalla). Spesso i pazienti hanno difficoltà nel togliersi gli indumenti e si ha tendenza a proteggere la spalla atteggiando il braccio in adduzione e gomito leggermente flesso.
Il trattamento elettivo è quello conservativo che mira alla correzione di atteggiamenti posturali quali l’abbassamento della spalla, l’eccessiva retroposizione della spalla e comportamenti di vita sbagliati (portare oggetti pesanti, gesti sopra il capo prolungati, dormire sul lato dolente o con arto in iperabduzione).
Qualora il trattamento conservativo non dovesse portare a miglioramenti, verrà posta indicazione al trattamento chirurgico.
Nel caso della sindrome dello stretto toracico, il percorso riabilitativo inizia non prima di 3-4 settimane dall’intervento chirurgico.
Nel post-operatorio viene indossato un tutore di protezione con arto intraruotato fino alla desutura.
Potrebbero essere eseguiti alcuni esami complementari quali EMG se persistono deficit sensitivi e/o di forza all’arto superiore, un’eco-color-doppler arterioso e venoso se persistono disturbi quali riduzione del polso radiale o congestione/edema della mano e avambraccio e per il monitoraggio clinico.
Il trattamento riabilitativo post-chirurgico della sindrome dello stretto toracico differisce dal trattamento conservativo in quanto, almeno in una fase iniziale, è più mirato al recupero dell’articolarità che alla correzione degli atteggiamenti posturali scorretti.
La differenza principale deriva dal fatto che dopo un periodo di parziale immobilità dell’arto superiore del lato operato ci si dedicherà al recupero della stabilità dinamica cervico-scapolo-toracica prima di iniziare il lavoro attivo in flessione e abduzione della spalla.
Nella fase iniziale risulta pertanto molto utile eseguire terapie riabilitative anche in piscina, per velocizzare il recupero dell’articolarità.
Il primo periodo di terapie è più intenso. Per uno sportivo il numero delle sedute è maggiore (sia in termini di frequenza settimanale che di numero di settimane di terapie) e comunque la ripresa dello sport non è consigliabile prima di tre mesi dall’intervento.
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